mercoledì 20 novembre 2013

Vita erotica di una mamma stanca

Allora che fai, vieni? Dove? Da me? Si, quando si addormenta. Ma dov'è? Come dov'è? Lallo? Su, in mansarda. Dorme. Mmmh, mi sa che è meglio se lo vado a prendere. Quel vecchietto di un cane! Lallo dormi! Lallo dormi! Quando vieni? Quando si addormenta Si è addormentato? No. Adesso? No. Adesso? Si. Vieni? Si, vengo (grugnito, volevo dire, ho sonno!, sono stanca. Ho dormito quattr'ore. Ho sonno, sono stanca....) Sei tu? No, babbo natale! Allora sei morbida? Falla finita (facciamo presto, facciamo presto, ho sonno, ho sonno, ho sonno). Ah, beato me! Ah, beata me! Dove sono? Cosa? Le mie mutandine? Non lo so. Sono beato, io Ma dove le ho messe? Ah, eccole Dov'erano? Attaccate Dove? Al mio braccio.(la donna razzo. Dal prima al dopo in un battere di .....braccia).

mercoledì 13 novembre 2013

sei chiaramente una mamma se.....

sperimenti paradiso e inferno insieme; corri verso un super-vomito-a-tromba, invece di scappare a gambe levate; fai di più in sette minuti di quanto gli altri fanno in un giorno intero; la tua ora felice dura da quando hai messo il pupo al letto a quando metti te stessa al letto; una notte di bisboccia alcolica richiede una riprsa maggiore di un piccolo intervento chiururgico; ti concedi delle mini sessioni di analisi ogni giorni con chiunque abbia voglia di ascoltarti; consideri una vacanza andare da sola dal fruttivendolo; un bicchiere di vino conta quanto una porzione di frutta; sei in grado di sentire uno starnuto, nel mezzo della notte, con la porta chiusa, due stanze più in là, mentre accanto ti russa una portaerei roboante; preferisci avere la febbre a 47, piuttosto che vedere soffrire il tuo pupo; preferisci dormire a una smodata notte di sesso; una doccia di quindici minuti, con la porta del bagno chiusa, equivale ad un percorso SPA da quarantotto ore; fare la pipi con pubblico in ascolto (e in visione) fa parte del quotidiano scorrere del giorno; usi le salviettine umidificate per togliere la polvere dalla tua auto; ti chiudi a chiave nel bagno lamentando un attacco improvviso di diarrea solo per prenderti una pausa; è la terza volta che fai ripartire la lavatrice perchè hai dimenticato di stendere il bucato; continui a guardare il cartone animato preferito del pupo, anche se è al letto da più di trenta minuti; alla fine della giornata, lo spruzzo fresco delle setole sui denti è un ottimo risultato. (la fonte è il sito wemothers. alcuni dei segni elencati li, qui non li ho messi. non li condividevo, semplicemente. altri mi sembravano iperbolici, dunque simpatici. ecco perchè hanno trovato posto)

giovedì 7 novembre 2013

cracco. senza. cracco

La porta di vetro si apre. Un’orchidea, phalaenopsis si erge sinuosa e algida su un tavolo. Nero. Ossidiana? Sbrigate le formalità. Prenotazione. A nome di, Il dito del signore in cravatta pigia il tasto. Arriva l’ascensore. Sempre lo stesso dito pigia il tasto le porte si chiudono senza rumore. Combaciano e la cabina va giù. Livello meno due. Me ne accorgo dopo. Un cameriere, di bianco e di nero, ci conduce a tavolo. Come un nugolo. Arriva il maître, il sommelier e l’aiuto-a-metterti-seduta. Poi il panchetto per la borsa di madame. Il tovagliolo sulle ginocchia, no. Quello lo faccio da sola. Spalle all’angolo. Abbracciata nella poltrona di pelle. I braccioli di legno. Atmosfera soffusa. Luci basse, ma adatte anche ai miopi. Rumoreggiare silente oltre porte da saloon. Accesso interdetto. mamma, ma da cracco, incontriamo bastiniach? minou masterchef-addicted proclama. labbra all'insù degli omini imperturbabili in bianco e nero. shhhh.... Ha inizio la sinfonia. Gesti discreti e accorti. L’acqua deliziosamente scorre. E il bicchiere è sempre mezzo pieno. Tripudio di vini bianchi e rossi. Note di biscotto, yogurt e ciliegia (tassonomia da baby degustratrice). Risotto con scampi, pomodori verdi e pinoli. Bocconcini di orata con taccole, fagiolini e pomodori. Tovagliato grigio. Lino e cotone. Posate lineari. Semplici senza fronzoli. Menù degustazione per lui, una carrellata di sapori infiniti. Raffinati. Di cibo. Cucinato bene. Essenza. Caffè. Trionfo di mandorle glassate, nocciole al cioccolato. Pasticceria mignon su una foglia divenuta piatto. Di porcellana. Bianca. Rigorosamente. L’album d'artiste di minou con i colori a pennarello troneggia sul piatto. “la signorina può spostare il suo disegno?”. No, dice lei, compunta “Appoggi qui”, dico io, serafica. Mano deferente. Che non disturba. Un valzer. In crescendo. Allegro con brio. Nessuno pesta i piedi qui. Nessuno è fuori tempo. Solo lui. Che non c’è. Perché lo vogliono oltre Atlantico. A Los Angeles. Non c’è. Aria di totale diludendo. Fino alla fine ho sperato. Di vederlo comparire. Mamma devo fare la cacca, annuncia minou, con incoparabile immediatezza bambina. Pausa toilette. Pardon, servizio. Scortate da camerieri in bianco e nero. Asciugamanine singole. Un cactus. Un profumo impalpabile, che non so dire. Lucente. Nel mio viaggio di andata, mi accorgo che la sala è gremita. I tavoli occupati. L’incidere è sicuro. Le paillettes nere delle scarpe di raso luccicano. Discrete. Da sotto al jeans lavagna. Sdrucito quanto basta e non ad arte. Ho pensato di venire in fucsia. In tuta. La mia mano stringe un mano bambina. Ritorno al tavolo. La cena volge al termine. Ho pensato che sarei potuta entrare anche con delle scarpacce. Perché lì, come il cibo, conta l’essenza. Il fatto, cioè, che vieni servito per gustare. Avere un esperienza sensoriale che dal palato va dritta al cuore. Alla testa. Benvenuti da Cracco, ristorante in Milano. Anche se lui non c’era. Ma ci ritorno.

martedì 22 ottobre 2013

Nike e superga

Antefatto, ore 8.00. Un qualunque martedì, di una qualunque settimana. Dobbiamo andare, che scarpe vuoi indossare, Nike o superga a fiorellini? Ehm, superga, no Nike...vabbe' superga. Dobbiamo andare e' tardi. Superga ai piedi. Tra le scale risuona: mamma, ma queste scarpe mi fanno gioco al tallone. Mi vanno larghe. Il quarto piano diventa portone. L'ufficio lamentele non registra nessuna doglianza. Macchina, solletico, Beethoven. Senti come crescono le note? Lo sai che con la tua bacchetta magica puoi dirigere l'orchestra? Mani che dirigono un'orchestra che non c'è.
Semaforo verde. Bar. Caffè cornetto. Muffin per papere. Asilo. Su per la scala. Maglietta a mezze maniche, che l'estate non ha voglia alcuna di cedere il passo. Bonne journee ma chere.

Ore 14.30. Occhi da maestra mi cercano. E cercano anche le parole per dirlo. Le escono d'un fiato. Giardino, esterno giorno. Un tallone perde una superga a fiorellini. Vani i tentativi di un recupero. La maestra si avvicina, ignara. Vuole offrire aiuto. Minou la respinge. È che quella scarpa non doveva essere li. Si chiamano i rinforzi, assurge la direttrice. Arriva e non sorride (voce di minou sul sedile dell'auto, di ritorno verso casa). Opposizione minuense. La direttrice, se non rimetti la scarpa chiamo mamma e le dico che hai strattonato la maestra. Minou annuisce. Capitola chiede scusa. Scusa perché non ha parlato a sufficienza con la sua mano. Scusa perché ha dimenticato che non si fa, scusa perché, nella sua mente a forma di bambina quelle scarpe già non le appartenevano più, peccato che mamma stamattina ha detto che aveva fretta.....la voce della maestra si spegne. Emme fornisce chiavi interpretative. La voce della maestra si fa promettere di non dire nulla a minou. Di lasciare che sia lei a parlare. Non resisto alla tentazione. Facciamo il gioco di a-domanda-rispondo. E la storia viene fuori. Come un fiume carsico. Le leggo la paura negli occhi. Quel dico-a-mamma-che-hai-strattonato-la-maestra, ha sortito il suo effetto. Indurre il timore, atavico, del guarda-che-lo-dico-a-mamma. (la maestra ha omesso il particolare "fisico"). Le ho detto che le voglio ancora più bene. Sempre. Di non temere, perché io capisco e la conosco.
Da domani niente fretta e, soprattutto, Nike ai piedi.

giovedì 11 luglio 2013

Il posteggiatore, daba e la macumba

Metti una giornata di sole, in mezzo alla settimana. Metti la preparazione rutilante della borsa da mare. Arancione, trasparente, un concentrato d'estate. Una ciambella issata da sotto in su, ballonzola attorno a una quattrenne dai piedini ardenti, abbracciata a George. Giù per le scale. Di corsa verso l'azzurro pocoyo di emmemobile e l'azzurro increspasto del mare. Onde come ricami occhieggiano dalla strada, mentre svolazziamo verso lo stabilimento.

Siamo arrivate. Laggiù c'è un parcheggio. No, non di quelli in zona rimozione che mi appagano, destando sconcerto. Altrui.
Laggiù, c'e anche un posteggiatore. Corpulento. La pancia in fuori. Tesa. Nera. Sudata. Abusiva. Scendiamo. Una mano carica di cose. L'altra congiunge e termina in minou.
Devo lasciare qualcosa, emme claudidcamte, modalità dimmi-di-no.
Beh, io sono qua..., posteggiatore consapovele.
In un guizzo di generosità colpevole, un deblone da due euro scivola nelle manoni da minatore del Minosse dei parcheggiatori abusivi. E abbrustoliti.

Il lettino e' parallelo. Alla spiaggia. Uno svolazzo di tunica beige. Lui è seduto li. Una conversazione fitta, di quelle che vogliono convincere. Con monypenny. Bracciali sbrillucicosi. Charms ammiccanti. La tunica rivela una mano. Prende la mia. Con l'altra mi studia il viso. Ho una linea della vita bella e lunga.
Ma tutto dipende da te.
Avrò sei figli.
Vuoi, un altro figlio? Si, vorrei.
I figli sono una fortuna, biascica l'indovino venditore.
Tu pensi?
Si, abbastanza.
No, troppo. Rintuzza l'indovino venditore.
Minou e' già guizzata in acqua. Con fatamorgana. Spuzzano e gridano felici.
Qual è la tua pietra? La corniola. Ecco questo per te. Dieci euro. No, domani devo comprare due libri. Portare fortuna, io conosco tutta la tua vita. Continua con fare fattucchiero. Incalza il mentitore. Sto per beccarmi una macumba: tu hai fatto sbaglio. Ci penserai. Tu hai fatto sbaglio. Ti pentirai. Ecco l'anatema che mi mancava. Mi produco in un tuffo propiziatorio. In acqua. Il vento accarezza. Il calore mi avvolge.

E' sbucata da destra. Daba. Ondeggia con passo sicuro sulla sabbia sottile. Di quelle che non hanno ritegno e ti ritrovi dappertutto. Ondeggia, dalla sua schiena, una testina afflosciata. Gli occhi chiusi. In un sonno di sole. Ha otto mesi. Viene dal Senegal. Accompagna la mamma al lavoro. Corpo contro corpo. Si siede sul lettino. La mercanzia sparsa davanti a lei. Abbassi la visiera? Halou continua a dormire. Rifacciamo il nodo al drappo che le contiene il figlio. Da quattro anni e' in Italia. Oggi non ho venduto niente. C'è un braccialetto desiderato da braccia maschili. Oggi hai venduto qualcosa, Daba. Riprende il suo incedere. Il bimbo e' dritto. Come il suo sonno. Iatture non pervenute.

Minou sguazza in acqua. Interrompe solo per scavare buche sulla sabbia. Alla ricerca dell'acqua. Anche le mie mani sono palette. Vieni mamma cerchiamo l'acqua insieme. Vieni, ti faccio vedere.
Poi va a prendere un gelato con le amiche. Cinque, dieci e tredici. Gli anni. Siedono al tavolo. Orgogliose e indipendenti. Uno scalpiccio sulla sabbia. La vedo rutilare verso di me. Mamma, me lo lecchi che gocciola tutto. Un ghiacciolo all'arancia.

Un altro bagno. Un'altra buca. Poi in cima a sciacquare i piedi. Ancor più su, sulla strada. Verso l'azzurro pocoyo e ustionante. Verso casa. Sfrecciamo sicure. Satolle. Di mare e di sole.

Una domanda, acciamo che tu sciacqui me è io sciacquò te? Un'affermazione, te lo faccio io lo shampoo, mamma. Le gote arrossate. Lo sguardo illuminato.